Il futuro dell’Ue: nazionalpopulisti vs. eurocrati?

Dopo l’esito del referendum in Grecia avremo sempre meno destra vs. sinistra, e sempre più nazionalpopulisti vs. europeisti. Trasversali gli uni, trasversali gli altri. Gli europeisti, se non cambiano passo, volto e favella, insomma ideologia e stile, rischiano di farsi schiacciare sull’immagine, negativa, di difensori dello status quo. Più che come europeisti, verranno valutati e denunciati come eurocrati. Il momento è, forse, decisivo. L’assenza di una politica europea comune sull’esodo di migranti in fuga verso il Vecchio Continente sarà la prova del nove. Più della Grecia, che semmai dimostra che si può “disobbedire”, a torto o a ragione, ma si può. E gli esempi contano. Nella vita dei singoli come in quella degli Stati e delle nazioni.

Nell’uso che faccio di “nazionalismo”, di “populismo”, di “nazionapopulisti”, non vi è alcun intento polemico. Ne faccio un uso “tecnico”, li prendo sotto l’accezione della scienza della politica. Descrivo per provare a capirci qualcosa. Il populismo emerge quando tra élites e popolo il divario, o la percezione di esso (il che in politica è la stessa cosa, conta allo stesso modo), si acuisce. Il primo rivelatore di questo aumento di divario è senz’altro una prolungata crisi economica e sociale. Si dirà: ma queste élites, appunto persone “elette”, nel senso anche di “scelte”, visto che parliamo di democrazie, le hanno volute quello stesso popolo che ora si lamenta e si “ribella”. Ma questo è il proprio della democrazia. Il suo lato debole? Forse, per certi aspetti lo è senz’altro; ma è anche il suo lato forte. Altrettanto certamente. Se la nazione in un’accezione non etnica ma volontaristica, dunque libera e negoziabile, è il plebiscito di ogni giorno, espresso da parte dei cittadini, la democrazia è il plebiscito dei governati ogni tot anni. Il populismo è anche figlio del fallimento delle classi dirigenti, nazionali ed europee. Merkel non è Kohl, tanto meno Hollande è Mitterand.

Personalmente, credo che senza il passaggio all’unione politica questa Europa non terrà. E non credo affatto sia possibile un’unione politica, ossia gli Stati Uniti d’Europa. Chi ancora ne parla sa di mentire, o non conosce la storia dei federalismi. Poteva funzionare una sorta di confederazione a 6, massimo 10, Paesi d’Europa, e magari limitrofi e omogenei sotto vari aspetti. Questa struttura ipertrofica di una trentina di Stati i più eterogenei non credo andrà mai oltre una sorta di unione doganale. Non per euroscetticismo pregiudiziale dico questo, ma per banale constatazione di quanto avvenuto negli ultimi 40 anni… Qualcuno vede Germania o Francia o altri, compresi gli scandinavi, meno “tolleranti” di quanto si sia soliti pensare, che per un tot di anni si fanno guidare da un presidente federale europeo che sia magari un italiano, pur eletto a suffragio universale europeo? Non credo proprio. Né vedo o leggo in giro proposte di forme di governo collegiale nuove e originali, comunque pensate ad hoc per un’Unione Europea a 30 e passa Stati.

Ha certo ragione Carlo Lottieri quando afferma a proposito del referendum greco che “comunque andasse, sarebbe stato un disastro. E disastro sarà, specialmente per una popolazione (quella greca) prigioniera del mito che sia possibile vivere senza produrre, che l’erba-voglio esista nel giardino di ogni politico, che ogni disastro sociale sia imputabile a qualche cattivo assai lontano, invadente, irrispettoso”. Però è anche vero che quanto ha scritto di recente Alain de Benoist, per cui i “populisti”, “contrariamente a quanto si suole dire, non sono persone che rifiutano la politica, ma che rigettano la classe politica attuale (i cosiddetti partiti “di governo”, e gli stessi elettorati protetti, garantiti)”. Il populismo è la risposta di ceti sociali sottoposti a molteplici minacce, comunque percepite come reali e pressanti: la decomposizione della sociabilità, della comunità/comunanza di costumi che sono loro propri sotto il triplo effetto della globalizzazione, dell’“integrazione europea” e dell’immigrazione. Come ha scritto Vincent Coussedière, il populismo “corrisponde a questo momento della vita delle democrazie, in cui il popolo si mette malvolentieri a fare politica, perché ormai dispera dell’atteggiamento dei governanti che hanno smesso di farla”.

Detto ciò, concordo ancora con Lottieri quando afferma che “fa comunque sorridere che da più parti s’intenda attribuire al liberismo – inesistente in Europa e certo ben poco presente anche al di fuori del Vecchio Continente – la responsabilità dei nostri drammi. La realtà è diversa”. È infatti innegabile quanto segue: “il guaio è che chi paga comanda e che quando sei pieno di debiti, ti può capitare che il conto corrente a te intestato sia sottratto alla tua disponibilità, così che ogni cifra depositata finisce per essere messa a disposizione dei creditori. Ha sicuramente sbagliato chi ha dato soldi (altrui) alla Grecia e ancor più i governi di Atene che quelle risorse hanno utilizzato per comprare consenso e corrompere un’intera società. Nello scontro tra Bruxelles e Atene, allora, non ci sono carnefici e vittime, buoni e cattivi, perché sono stati commessi errori a ogni latitudine”.

Quel che la vicenda greca inoltre dimostra è che, sempre prendendo a prestito l’analisi di Lottieri, “oggi l’Europa non è un libero mercato, ma un apparato burocratico altamente redistributivo”. Il populismo che emerge a più riprese, e sta dilagando in tutta Europa, da ovest a est, da nord a sud, e che finisce inevitabilmente per riscoprire la carta della sovranità nazionale dei singoli Stati membri, quando non di macroregioni interne a questi, non ha connotazioni né di destra estrema né di sinistra estrema. Trova nel radicalismo la forma con cui ottiene ascolto e attenzione. Di fatto, però, l’avversione crescente è nei confronti di “un’Unione che eccelle solo in un’incessante produzione normativa e nella ricerca di sempre nuove forme di compressione delle libertà individuali”. Ha ancora ragione Lottieri quando sostiene che siamo, come membri dell’Unione Europea, incastrati “tra il dirigismo tecnocratico della Merkel e il populismo dei troppi Syriza di ogni colore”. Aggiungo solo che il populismo potrebbe funzionare da mezzo transitorio per ristabilire una corretta fisiologia dentro corpi istituzionali malati o comunque affaticati, quelli delle liberaldemocrazie di molti Paesi europei.

Riprendendo le considerazioni di Loris Zanatta, esperto del fenomeno e autore di numerosi saggi sul tema, riconosco che il populismo è una febbre salutare solo in corpi di sana e robusta costituzione, che da questo passeggero malessere comprendono che avevano nell’ultimo periodo esagerato e deviato rispetto ad una corretta e benefica condotta. In corpi cagionevoli e di debole costituzione quella febbre sale e sale fino a far girare la testa all’intero sistema decisionale e produttivo, col che si rischiano sbandamenti pericolosi e degenerazioni verso patologie più gravi. Non so se è un rischio che, come italiani o greci o altri ancora, possiamo correre. Ma è proprio su questo che dovrebbero riflettere i governanti italiani, greci e dell’Europa mediterranea tutta. Con debiti enormi in questa Europa ci si sta soltanto non per risanarsi davvero, come ci viene raccontato, ma per continuare nell’equivoco, se è vero che questa Ue è una megaburocrazia redistributiva. Stupido, poi, meravigliarsi se il cosiddetto “popolo” non vede la redistribuzione a suo favore, ma solo il rigore fiscale peraltro mai davvero applicato secondo equità e universalità (vedi la protezione di Chiesa ortodossa e armatori nella Grecia di ieri e di oggi). Mi chiedo se non sarebbe meglio stare di fronte alle proprie responsabilità, delle classi dirigenti precedenti e presenti, e vedere di fare davvero ciò che serve, da soli e senza dande o stampelle. Le dande si usavano per i neonati ancora incapaci a camminare da soli, le stampelle per chi, feriti, infortunati o anziani, ha problemi di deambulazione. Ma davvero i “popoli” del populismo vogliono essere adulti e sani, né poppanti né assistiti, ma intraprendenti, laboriosi e indipendenti?

Jean-Simon Berthélemy, Nodo gordiano (1787)
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4 pensieri su “Il futuro dell’Ue: nazionalpopulisti vs. eurocrati?

  1. Il vizio di fondo nella costruzione dell’Europa Unita è stato nel pretendere di creare un unico Stato federale, che elimini la sovranità dei singoli Stati che la compongono. Lo Stato federale è uno Stato unitario, nel quale le singole componenti non sono sovrane, ma autonome. Questo pregiudicherebbe irrimediabilmente il diritto all’autodeterminazione dei popoli che la compongono. Ogni Nazione ha diritto ad una propria identità culturale, e come tale ha diritto di essere sovrana. La dottrina contemporanea si accanisce contro la sovranità, considerandola la fonte prima di ogni male; ma non si accorge con ciò stesso del vero significato della sovranità. La sovranità – almeno per gli Stati non totalitari, come sono quelli europei – è democrazia, è la libertà dei popolo fatta valere a livello, anziché interno, internazionale. E’ quello che le dichiarazioni internazionali chiamano il diritto di autodeterminazione dei popoli, solennemente riaffermato sia dalla Carta delle Nazioni Unite che da altri Trattati. Dispone l’art. 1 della nostra Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo…” (2° comma). La sovranità e la democrazia di uno Stato dunque si identificano. Se pertanto si crea un superstato, o comunque un’autorità esterna al nostro ordinamento, si viola la libertà del popolo di autodeterminarsi, e quindi si pregiudica la stessa democrazia. La creazione di un potere esterno ha esattamente questo significato, lesivo di un fondamentale principio democratico. Un’imposizione coattiva può provenire non solo dall’interno, ma anche dall’esterno, e il risultato è uguale. Il movimento europeista ha disconosciuto in pieno questa realtà, sulla base del presupposto che l’Europa costituisca un popolo unico. Ma questo è stato l’errore. In Europa non esiste un popolo unico, ma popolazioni fra di loro estremamente differenziate. Si è confuso il concetto di civiltà europea con quello di Nazione, che sono fra di loro estremamente differenziati. La civiltà può riguardare interi continenti, ma non ha nulla a che vedere con il presupposto di un’unione politica. Esiste dunque una civiltà americana, una civiltà africana, una civiltà asiatica, una civiltà atlantica. Ma nessuno ha mai pensato di fondere i vari Stati che ne fanno parte in uno solo. Un unico Stato presuppone non solo un’unica civiltà, ma un’unica Nazione, un popolo solo. E questo in Europa, almeno per i prossimi mille anni (anche di più), non esisterà mai. Il paragone che viene di consueto fatto con gli Stati Uniti d’America è gravemente errato, e dimostra l’infondatezza dei presupposti dai quali si parte per creare artificiosamente un’Unione europea. Negli Stati Uniti non esistono popolazioni differenti, ma si è formato un unico popolo, un’unica Nazione – come già aveva affermato Abramo Lincoln all’epoca della Guerra di Secessione – che parla un’unica lingua, che ha un modo di vita, una mentalità, e ideali comuni, e una compattezza formidabile e ammirevole. In Europa esiste un realtà esattamente antitetica. Mettere insieme un norvegese, un greco, un inglese, un croato, un tedesco, un francese e così via, e considerali un popolo comune, è pura follia. Ai mali dell’Unione europea si risponde comunemente indicando come rimedio l’integrazione. Ma è proprio questa che crea quel difetto di democrazia che la sta conducendo alla rovina, imponendo ai singoli popoli la volontà di popoli ad essi estranei. Una unione tra i popoli può esistere soltanto su basi cooperative, di rispetto dell’autodeterminazione dei popoli, della loro sovranità e della loro democrazia, senza imposizioni esterne che pregiudichino irrimediabilmente la capacità di ciascun popolo di determinare un proprio indirizzo politico.
    Queste non sono considerazioni politiche, ma giuridiche, e non possono essere confutate. Possono soltanto, come è avvenuto finora, essere ignorate e disprezzate, parlando di populismi e di altre aberrazioni, che non hanno nulla a che vedere con questa realtà.

    1. Caro Prof. Catelani,
      questo non è solo un bel commento, ma un’analisi articolata che condivido in pieno (e da cui ho anche imparato). Conferma la mia idea, suffragata dalla storia, che le democrazie fin qui sperimentate, le democrazia liberali, sistemi rappresentativi con diffusa partecipazione politica, hanno preso forma, si sono consolidate e sono persino progredite all’interno del quadro dello Stato-nazione. Anche gli Stati Uniti d’America sono, in forma federale di governo, “uno” Stato (sia pur di Stati) e “una” nazione (sia pur di un numero crescente di “individui” di diversa provenienza geografica, culturale, religiosa, ma non di “etnie”, almeno non in misura tale da lacerare il tessuto nazionale).
      Condivido, poi, che dovremo ridare il giusto peso e il giusto valore al concetto (e alla pratica) della sovranità, senza cui la deriva oligarchica è agevolata. Non si deve diffondere l’illusione, oggi propalata a piene mani, che del potere ci si libera. Lo si può e lo si deve imbrigliare, diluendolo, diffondendolo, ma lasciandolo scorrere, opportunamente incanalato in libere e plurali istituzioni, in quanto linfa vitale di qualsivoglia comunità organizzata di grandi numeri di individui.
      Grazie, e a presto
      DB

  2. Caro Amico,
    ho letto con crescente interesse la tua riflessione. Il caso greco conferma il provincialismo della piccola borghesia di formazione classica (e sedicente marxista), per cui, in ultima analisi, il retaggio e l’orgoglio fanno aggio sull’economia. Condivido la domanda: che cosa è l’Unione Europea? E la risposta: un’unione doganale mal riuscita. Non credo che si prenderà subito atto del fallimento dell’Europa. Ma qualcosa si muoverà. E andrà nel senso di un ritorno allo stato nazionale. I nostri europeisti (illuministi e idealisti, per non dire altro) credevano di potersene sbarazzare troppo facilmente. Non penso si vada verso un’accelerazione (affrettata) dell’unità politica europea. Se così fosse, ad essere accelerata sarà la rifeudalizzazione dell’Europa.

    1. Grazie G. Hai ragione: il pericolo è proprio quella di una “rifeudalizzazione dell’Europa” per troppo “amore” di unità, quando questa si rivela oramai impossibile. Mi sovviene la storia mitologica, sempre eloquente, della camicia di Nesso. Non trovi? Il miglior modo per trattenere l’amato, se tale davvero è, sta nell’allentare un poco la presa…
      DB

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