Archivi tag: Fernand Braudel

Medioevo e identità europea. In memoria di Jacques Le Goff (1924-2014)

Vale la pena ricordare la figura e l’opera di Jacques Le Goff (Tolone, 1° gennaio 1924 – Parigi, 1° aprile 2014), uno dei maggiori storici del Novecento e tra i massimi studiosi del Medioevo negli ultimi sessant’anni (del 1956 è l’importante studio su Marchands et banquiers au Moyen Âge, mentre dell’anno successivo è l’ancor più celebre saggio Les Intellectuels au Moyen Âge). Fu un innovatore ed efficace divulgatore della scienza storiografica, che aprì ulteriormente al contributo delle scienze sociali e in particolare all’antropologia. Le Goff può essere considerato il più noto, anche tra i non addetti ai lavori, degli esponenti della terza generazione di quella grande scuola storiografica francese delle “Annales” che sorse nel 1929 grazie a Marc Bloch e Lucien Febvre, poi proseguita con Fernand Braudel. Riportiamo qui di seguito ampi stralci dal capitolo conclusivo di un saggio pubblicato nel 1996 all’interno del quarto volume della Histoire du développement scientifique et culturel de l’humanité promossa dall’UNESCO, e incentrato sulle origini medievali dell’identità europea. Un esempio di come Le Goff seppe interpretare seriamente e brillantemente il mestiere di storico. In un’intervista di una decina di anni fa, lo studioso francese ebbe a sottolineare l’importanza dell’insegnamento della storia per le giovani generazioni: “La storia è memoria. Non proporre ai giovani una conoscenza della storia che risalga ai periodi essenziali e lontani del passato, significa fare di questi giovani degli orfani del passato, e privarli dei mezzi per pensare correttamente il nostro mondo e per potervi agire bene”. Ecco dunque un omaggio alla memoria di chi ha sempre difeso e promosso l’esercizio serio e appassionato della memoria storica.

“Il Medioevo non conobbe l’idea di progresso, ma si sforzò – nel campo delle pratiche così economiche come intellettuali, ma anche nella vita morale – di far meglio, mediante sia il miglioramento che la crescita. Cercò la via alla perfezione in un orientamento dal basso verso l’alto (il cristianesimo è una religione celeste), nell’allargamento dei suoi orizzonti terreni (conquista del suolo e padronanza del mare) e in un’interiorizzazione via via più accentuata della vita personale e sociale, professionale e spirituale.
La fragilità individuale e collettiva degli uomini e delle donne del Medioevo […] conferisce alla loro vita affettiva e passionale una forza particolare. Essi sono per un verso dominati e per un altro stimolati da ossessioni; e sono spesso abitati dalla paura: paura delle calamità naturali, paura del diavolo e dell’inferno, paura di una fine del mondo apocalittica. Sotto la sua nuova forma nucleare ed ecologica, l’apocalisse continua ad angosciare gli europei odierni.
La prima ossessione era quella del peccato, di cui la Chiesa aveva fatto la sostanza profonda della condizione umana, accordando al peccato della carne un’importanza speciale, dovuta all’interpretazione del peccato originale come peccato sessuale data dai Padri della Chiesa. Il peccato si radicava nel vizio […]. Questa lotta contro il peccato e il diavolo fu rafforzata dallo spirito guerriero degli uomini del Medioevo. Gli Europei impararono ad essere in tutti i loro comportamenti dei combattenti: una caratteristica già riconosciutagli da Ippocrate nell’Antichità.
Una seconda ossessione era quella dell’invisibile, del soprannaturale. Gli uomini e le donne del Medioevo credevano che il visibile fosse compenetrato d’invisibile, che il soprannaturale fosse sempre pronto a manifestarsi sulla terra, che tra il visibile e l’invisibile non esistesse una frontiera netta, e tanto meno una cesura. Di qui l’importanza attribuita ai sogni (una credenza tenacemente combattuta dalla Chiesa in quanto pagana) e alle visioni. Di qui anche la credenza generale, a tutti i livelli della scala sociale e professionale, nei miracoli intesi come manifestazioni soprannaturali del potere divino. Esisteva tra cielo e terra una circolazione permanente nei due sensi […].
Un’altra ossessione fu quella della memoria. Essendo un mondo in cui dominava l’oralità, la società medievale non poteva vivere senza una memoria potente ed efficace. La vita sociale e giuridica si fondò per lungo tempo sulla consuetudine, sulla tradizione tramandata dalla memoria, e specialmente da quella dei vecchi. Il cristianesimo era una religione della memoria […].
La credenza in un soprannaturale vicino, anzi vicinissimo, in un mondo vero di cui il mondo di quaggiù era solamente il doppio imperfetto e viziato, creò un’ossessione del simbolico. Tutto quaggiù rinviava a quest’aldilà fatto di una verità non illusoria. Tutto quaggiù era simbolo, e doveva essere decifrato.
Nella sfera sociale e politica, l’ossessione è quella della gerarchia e dell’ordine, fondamenti del dogma ideologico degli Europei di destra. Ma fa capolino anche un’ambigua ossessione legata al concetto di libertà, di cui il liberalismo contemporaneo è l’erede. La libertà è per un verso quella del privilegio: libertà della Chiesa di fronte ai laici, dei nobili di fronte ai servi, ai non-liberi. Ma la libertà è anche, di già, l’indipendenza, il rifiuto di obbedire all’autorità illegittima o ingiusta: il remoto, benefico germe della democrazia.
Una grande svolta nella storia delle idee, dei valori e delle mentalità ha luogo nella cristianità del XII-XIII secolo. Una nuova concezione del peccato, commisurato più all’intenzione del peccatore che ai suoi atti, conduce a una revisione delle pratiche della confessione e alla ricerca dell’ammissione di colpa. […] In verità, il Medioevo si prolunga brillantemente fin nel Cinquecento; e se si parla convenzionalmente di Rinascimento è perché non si scorge che tutto il Medioevo è una serie di Rinascimenti, altrettanti balzi creatori che l’epoca occulta (le novità sono malviste dalla Chiesa) sotto la maschera di un ritorno all’Antichità. […] il Medioevo continua nel cuore del Cinquecento”.

[J. Le Goff, Il Medioevo. Alle origini dell’identità europea, trad. it. di G. Ferrara degli Uberti, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 105-115. I corsivi sono nel testo]