versione riveduta e ampliata della recensione apparsa su «L’Indice», XXXI, n. 4, aprile 2014, p. 47
SANDRO ROGARI, LA SCIENZA STORICA. PRINCIPI, METODI E PERCORSI DI RICERCA, pp. 223, € 23, UTET, Torino 2013
“Questo è un libro che ha la pretesa di dire cosa la scienza storica è ed a quali regole risponde”. Così Sandro Rogari presenta la sua ultima fatica, destinata non solo a studenti e dottorandi di materie storiche, ma ad una più ampia comunità di studiosi e appassionati che intendono chiarire a se stessi e agli altri in cosa la scienza storica si distingua da una semplice narrazione di facile accessibilità.
Circa duemila e cinquecento anni fa La guerra del Peloponneso di Tucidide, scritta fra il 431 e il 404 a.C., ha fondato la scienza storica. Inoltre, l’opera tucididea ha inaugurato il genere della storia politica, rimasto esclusivo, o comunque preponderante, per molti secoli a seguire. Dal canto suo, Erodoto (484-425 a.C.) ha sottolineato il ruolo dell’esemplarità come utile sia alla conoscenza sia all’acquisizione di modelli per edificare e migliorare le comunità umane. Questo è un aspetto “del tutto antimoderno” della visione erodotea della storia, che finisce per essere statica, così come sarà anche nel Cicerone del De Oratore (55 a. C.).
Due geni rinascimentali, Machiavelli e Guicciardini, hanno contribuito a rimuovere ogni disegno salvifico ed intervento divino dal corso della storia, che venne così totalmente “secolarizzata”. Ciò, però, non ha impedito il riemergere di interpretazioni della storia come corso di eventi guidato dalla Provvidenza, e comunque da forme di teodicea e di finalismo. In particolare, nell’età della Controriforma, dopo il concilio di Trento (1545-1563), vi è stata una ripresa della visione provvidenzialistica della storia. Anche in Giambattista Vico se ne trovano tracce, soprattutto nell’idea che le vicende umane siano rette da leggi di origini trascendenti. Per altri versi, “la riflessione di Vico ha mantenuto la sua attualità” e ha posto alcune premesse dello storicismo contemporaneo, come ci ricorda Rogari, soprattutto per il fatto che la filosofia vichiana della storia “suggerisce che la conoscenza storica è possibile solo calandosi nel contesto specifico studiato, che non deve essere altro da sé, ma che deve contemplare il tempo studiato, ossia i valori, il linguaggio, le visioni del mondo e i modi di vita degli esseri umani che si calano negli eventi storici studiati”.
Nel corso del Settecento, l’Illuminismo ha consolidato quella critica della storia “provvidenziale” che Machiavelli e Guicciardini avevano inaugurato, ma l’ha accompagnata all’antistoricismo, simboleggiato dalla condanna del medioevo ad età dell’oscurantismo e della superstizione. Il positivismo ha poi rafforzato un tale tipo di critica finché a fine Ottocento la secolarizzazione della scienza storica può dirsi pienamente secolarizzata, cosicché l’intera storia tanto umana quanto naturale è stata (ed è) vista come processo che prescinde o addirittura contraddice “ogni presenza del divino”.
La conoscenza storica è una scienza sociale che non ha capacità predittiva, a differenza, ad esempio, della scienza giuridica, ma favorisce comunque induzioni dall’analisi di fenomeni specifici e circoscritti nel tempo e nello spazio.
I fenomeni storici sono un prodotto del libero arbitrio degli esseri umani, veri protagonisti della storia “soggetti ad infinite variabili comportamentali”. Rischio altissimo per la storia è l’intromissione di campo da parte di generi “pseudostorici”, come il romanzo storico o il pamphlet che fa “uso pubblico” e politico del passato, intromissioni e inquinamenti a cui Rogari cerca di contrapporre criteri teorici e regole pratiche, tra cui uso delle fonti e metodo comparativo, ampiamente esaminati nel corso del libro.