Archivi del mese: Febbraio 2015

Arcipelaghi: poetica e poesia di Alessandro Lattarulo

Ha proprio ragione l’amico Lattarulo nel sottolineare come la poesia sia soprattutto “evocazione”. L’ho sempre pensato, sin da quando ho cominciato ad avvertire l’esigenza di scrivere in versi. Trovare un altro poeta, intellettualmente agguerrito come Alessandro, che condivide una tale convinzione non può che confortarmi.
DB

“L’arcipelago è una possibile metafora della propria ed altrui irriducibile pluralità, della convivenza dei distinti, dove i singoli elementi (le isole) convivono in quanto inevitabilmente separati. […] Il poeta è parte degli articolati arcipelaghi disseminati sul pianeta. È isola, soggetto al fenomeno dell’insularità/isolamento e all’infelicità, alla depressione che ne consegue, ma è al contempo membro vitale di un qualcosa che ne trascende l’essenzialità autistica e istituisce ponti relazionali. Dalla sua parola, quanto nascosto sui fondali del mare uterino da cui tutti veniamo può emergere e proliferare quasi per gemmazione, sdoppiamento, crescita rizomatica, aprendo le porte a una realtà differente, che liberi uno Zeitgeist disancorato dalle ossessioni contemporanee (per esempio dal peccato della fretta imputato ai contemporanei da Aldous Huxley).
Ritorna dunque in gioco la parola poetica non come pretesa di sterilizzare il mal di vivere […] ma come strumento insostituibile per battere un sentiero alternativo a quello lungo il quale si incontrano pratiche di conciliazione interiore pienamente integrate nei meccanismi dell’industria culturale.
La parola poetica, anche quando scaturisca da un malessere “isolano”, da una flebile fiducia nella capacità degli uomini di convivere pacificamente, non rappresenta un modo già esistente e compiuto, ma ne configura uno venturo. Può riuscire nel proprio intento facendo leva sull’inappagato desiderio dell’uomo di comunicare con i propri simili. Nelle giuste dosi è il pharmakon per arrestare la deriva del logos in tecno-logos, il decadimento della ragione (del pensiero che pensa) da regola aurea dell’azione a ossessione verso il procedimento più economico per ottenere sempre e comunque, a partire dai mezzi disponibili, i risultati previsti. Incarna la speranza di tornare ad evocare invece che accontentarsi di denotare, di non cedere alla tentazione di addomesticamento simbolico dei nomi, che ne esautora la magia e, lasciando morire le parole, la loro fertile ambiguità, trascina con sé anche le relazioni umane, che di parole si nutrono”.

[Alessandro Lattarulo, Arcipelaghi, Bari, WIP Edizoni, 2015, pp. 18-19]

LO AVEVA ATTESO

Lo aveva atteso,
d’attenzione solerte
e di pazienza desto,
studiando le costellazioni
con sguardo d’aquilone.

Lo aveva atteso,
intonando canzoni d’amore
come preghiere di violino
levate con tenerezza infinita
nel nome di una donna.

Lo aveva atteso,
anche se tutt’intorno
gelava l’inverno o di calore velava la forza
l’aromatico sorriso dell’estate.

Lo aveva atteso,
intrecciando sogni
oltre l’albeggiare dell’orizzonte,
ripensando a suo padre
stringergli la mano piccina.

Lo aveva atteso,
deciso ad esplorare
tutti i luoghi della mente,
spinto dalle vele
di ricordi selezionati con cura.

Lo aveva atteso,
inseguendo freneticamente
l’ansia dell’anima raminga,
abbandonati in una culla
paure e battesimi.

Lo aveva atteso
con i capelli ormai canuti,
ma sui volti degli uomini
aveva scorto viaggi
più lunghi di quello
prenotato sul treno
dove non era mai salito.

[ivi, pp. 62-63]