Madame de Staël tra liberalismo e repubblicanesimo

Recensione a: Madame de Staël, Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau; Riflessioni sul suicidio, a cura e con introduzione di Livio Ghersi, trad. dal francese di Andrea Inzerillo, Bibliosofica, Roma 2016, pp. 167, € 12.

Con un’ottima curatela, la casa editrice Bibliosofica celebra i duecentocinquant’anni dalla nascita di Madame de Staël ripubblicandone le riflessioni su Rousseau e sul suicidio. Due testi che consentono al lettore di oggi, digiuno dell’opera della grande scrittrice franco-svizzera (nacque a Parigi il 22 aprile del 1766, figlia del ginevrino Jacques Necker), di apprezzarne tanto l’attualità del pensiero politico quanto l’eleganza e la profondità dello stile e del contenuto letterari. Il primo scritto risale al 1788, quando Rousseau non era ancora assurto al rango di gloria nazionale, conferitogli dalla Convenzione Nazionale solo nel 1794. E il testo della de Staël ebbe proprio questo merito: a soli dieci anni dalla scomparsa dello scrittore, figura isolata, avversata ed emarginata dalla cultura ufficiale, se ne segnalava invece tutta l’importanza e originalità. Si promuoveva il talento letterario di Rousseau, non il pensiero politico.

Fedele alla lezione di Montesquieu, Madame de Staël non condivideva la predilezione rousseauiana per la democrazia diretta, perorando piuttosto la rappresentanza legislativa e la separazione dei poteri sul modello inglese. Il secondo scritto trasse spunto da un fatto di cronaca che nell’ottobre del 1811 colpì molto l’opinione pubblica, in particolare gli ambienti intellettuali europei: il suicidio del celebre poeta tedesco Heinrich von Kleist e della sua amante, Henriette Vogel. De Staël s’interrogò sui motivi e sui possibili modi per distogliere da una tale azione: su tutti, il rimedio è la dedizione agli altri, “la vera dignità morale dell’uomo”. Ad animare la penna, e la vita, della baronessa fu la convinzione che la “natura immortale” del pensiero conduce chi ne fa esercizio quotidiano “a elevarsi di continuo” e “una maggiore intensità di vita è sempre un aumento di felicità”. Così scriveva nel 1788, nel saggio dedicato a Rousseau, e nel 1813, nelle Reflexions sur le suicide, aggiungeva: “Amare e pensare ci dà sollievo e ci esalta solo nella misura in cui ci sottrae alle impressioni egoiste”. La religiosità di Madame de Staël, ispirata da un cristianesimo protestante non ortodosso ma irrorato da una più ampia sensibilità umanistica, la portò a condannare il genio e il talento svincolati dall’altruismo e motivati dalla sola ambizione personale, ovvero dall’egoismo. “Ciò che distingue la coscienza dall’istinto è il senso e la conoscenza del dovere, e il dovere consiste sempre nel sacrificio di sé agli altri. Tutto il problema della vita morale – proseguiva nella sua riflessione sulle cause del suicidio – è racchiuso in questo, tutta la dignità dell’essere umano è proporzionale alla sua forza, non soltanto davanti alla morte, ma nel non lasciarsi dominare dagli interessi dell’esistenza”.

François Gérard, Ritratto di Madame de Staël (1810 ca.)

In queste parole si comprende bene l’interesse coltivato dalla baronessa franco-svizzera nei confronti di Rousseau, considerato, non a torto, come l’unico intellettuale francese di metà Settecento che contemplasse e valorizzasse il sentimento religioso dell’uomo e ne valutasse l’importanza nella costruzione di una cittadinanza repubblicana. Secondo quanto scrive la baronessa franco-svizzera, una possibile saldatura tra istituzioni liberal-costituzionali e costumi sociali repubblicani può ritrovarsi nella promozione pubblica di idee e sentimenti volti all’altruismo e alla conquista della dignità tramite sacrificio di sé e delle proprie passioni egoistiche. Il punto di incontro fra liberalismo e repubblicanesimo starebbe dunque in un ethos cristiano secolarizzato, nel senso di diffuso e popolarizzato, per così dire, non di diluito fino al punto di estinguersi nel più assoluto indifferentismo in materia di religione. Come se la perdita di una religiosità (comunque cristiana) diffusa conducesse all’anomia, alla perdita di cogenza delle norme di convivenza sociale ispirate alla pace e al progresso. Ne scaturisce l’affermazione che i diritti non possono che essere coadiuvati dai doveri, in un nesso circolare indissolubile. Senza i doveri, i diritti restano sulla carta. Senza i diritti, i doveri si riducono a catene. Non casuale, in tal senso, il riferimento a Tommaso Moro, il quale ebbe a sacrificare “tutti i godimenti a quel sentimento del dovere, la più grande meraviglia della natura morale, quella che feconda il cuore, come nell’ordine fisico il sole rischiara il mondo”.

Dalle pagine sul suicidio, più che da quelle direttamente dedicate al pensatore ginevrino, si confermano alcuni capisaldi del pensiero politico di Madame de Staël e di quanto il suo proto-liberalismo abbia aperto la strada alla riflessione di Tocqueville, restando non ancora del tutto chiaro quanto le idee di Benjamin Constant debbano alla lunga relazione, anche amorosa, avuta con la baronessa. Certo è che anche tra queste pagine si rintracciano numerose assonanze, se non perfette identità di veduta, tra i due pionieri del liberalismo francese dell’Ottocento.

Hercule De Roche, Benjamin Constant (1830 ca.)
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9 pensieri su “Madame de Staël tra liberalismo e repubblicanesimo

  1. Qualsiasi sistema sociale che non tiene conto dei valori della religione prevalente del proprio Paese diventa imperfetto e totalitario: il popolo ‘ignorante’ in senso etimologico viene privato di certezze e si allontana da una partecipazione attiva politica e sociale.

    Perde di significato parlare di diritti e doveri.

  2. grazie! ricordato in FB per ” tutta la dignità dell’essere umano è proporzionale alla sua forza, non soltanto davanti alla morte, ma nel non lasciarsi dominare dagli interessi dell’esistenza”.

  3. Che donna! A parte questo, l’equilibrio dei poteri. Fa paura il prevalere dell’esecutivo, ma anche la creatività dei giudici mi sembra estremamente pericolosa: è un fenomeno gnostico (“lo sappiamo noi quello che è bene, non il popolo che va a votare ma non capisce nulla”) e non si sa dove può portare, ma a vedere in concreto sembra leggere quello che è più di moda, oggi il radical chic! Ma un diritto fondato su qualcosa di più serio non riesce a darcelo nemmeno il legislatore, in quest’epoca di televisione dilagante e di assenza di pensiero, in cui tutti i desideri sembrano candidati a diventare diritti, e senza doveri corrispettivi!

  4. però, no: non chiamate in causa Casaleggio per criticare la democrazia diretta di Rousseau che, da un lato, continua ad essere profondissimamente radicata nella sua Svizzera; dall’altro, potrebbe essere recuperata nelle modalità migliori della democrazia cosiddetta deliberativa (cento, mille volte superiore a quello che i renziani chiamano democrazia decidente – che è anche inesistente). Da Breschi vorrei un approfondimento. Dunque, i poteri sono effettivamente tre: esecutivo, legislativo e giudiziario. Posso affermare che chi sostiene che il giudiziario non è un potere: 1) sicuramente sbaglia; 2) intende ridimensionarlo e sottoporlo al legislativo, ma, più probabilmente, all’esecutivo; 3) s’incammina su una brutta strada lastricata di ciottoli populisti dove i voti contano più del rispetto e dell’applicazione delle leggi?

  5. Per quanto attiene al tema del suicidio in epoca romantica non sono pochi quelli che individuano nel Werther goethiano un modello di un’insana e diffusa pratica cui bisognava rispondere allora con analoga capacità di presa mentale. Pertanto è apprezzabile la campagna antisuicidio di Madame de Staël, a prescindere dalla sua sostanza.
    http://danilocaruso.blogspot.it/2013/07/considerazioni-sul-werther-goethiano.html
    D’altro canto per ciò che concerne il rapporto di tale autrice con la figura di Rousseau, a proposito di quest’ultimo una cosa che raramente si evidenzia è che l’anarchia rousseauiana sia contemporaneamente la meta ideale di marxisti (superata la transitoria fase del socialismo) e di liberali antistatalisti (anche loro di “sinistra”, considerandoli opposti a conservatori di “destra”). Forse aveva ragione Marx nel pensare che un sistema sociale genera al suo interno forze di contraddizione (la vita è dialettica): e la sorte di Rousseau potrebbe apparire un esempio di queste tensioni polari. Un pensatore di “sinistra” ante litteram (appeso tra liberalismo e marxismo). Alla borghesia più pragmatica e meno illuminata è chiaro non piacesse un “democratico radicale” di questa portata rivoluzionaria dall’esagerato slancio di fiducia nei confronti della natura umana liberata da impalcature sociali. Meglio per costoro teorizzare qualcosa di “sovrastrutturale” e di conservatore, che garantisse l’opportunità di sostituirsi al ceto clericale e nobiliare, al contempo lasciando la massa al di fuori di un effettivo esercizio del potere politico (un meccanismo di cui parla Orwell in “1984”, funzionato nella rivoluzionaria Russia). Quindi i liberali, dopo tale operazione, da soggetti di sinistra, preso il posto dei conservatori, sono diventati di destra, rinnegando la loro vocazione universale. E sempre la religione in questi casi media, condiziona.

  6. Grazie, una lettura molto attuale in realtà. Il nesso fra laicità e cristianesimo appare sempre più essenziale, coessenziale in effetti.
    Marco

  7. MILLE VOLTE Montesquieu e la separazioni dei poteri. No a ROSSEAU E ALLA SUA DEMOCRAZIA DIRETTA, non a caso fatta propria dal defunto Casaleggio, schermo della democrazia “pilotata” da un centro opaco, massonico. Transizione verso una era oscura di masse violente, vocianti, eterodirette con pugno di ferro.

  8. La dignita’ pari alla forza morale e l’indissolubilita’dei diritti dai doveri. Analisi puntuale, acuta, sull’importanza e la modernità dell’ethos cristiano.

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