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Quando il Welfare State si dotò di un’ideologia

recensione apparsa su «L’Indice», XXVIII, n. 4, aprile 2011, p. 45

WILLIAM BEVERIDGE, ALLE ORIGINI DEL WELFARE STATE. IL RAPPORTO SU ASSICURAZIONI SOCIALI E SERVIZI ASSISTENZIALI, saggi di U. Ascoli, D. Benassi, E. Mingione, pp. 175, € 22, FrancoAngeli, Milano 2010

Mai come di questi tempi può essere utile leggere il documento che più di ogni altro ha contribuito a dare solide fondamenta scientifiche ma anche motivazioni ideali alla costruzione del sistema di welfare. Se la storia dello Stato sociale dovesse essere narrata in termini epici, il suo eroe sarebbe sir William Beveridge.
Nato in India da una benestante famiglia inglese, Beveridge studiò al prestigioso Balliol College di Oxford. Fu quindi per alcuni anni vice-direttore di Toynbee Hall, una sorta di centro formativo per la classe operaia londinese la cui particolarità era che i docenti sperimentavano direttamente la durezza della condizione degli operai vivendo nel loro stesso quartiere. Cruciale fu l’incontro con i coniugi Webb, fondatori della Fabian Society. La crescente ispirazione social-riformista non gli fece abbandonare la militanza nelle fila dei liberali, e intraprese una fortunata e prestigiosa carriera all’interno dell’amministrazione britannica.
Da tutte queste esperienze maturò le premesse ideologiche per proporre un sistema di welfare di tipo universalistico e assicurativo, non disgiunto dall’iniziativa individuale rafforzata da forme di organizzazione intermedia e solidale. Il Rapporto del 1942 si presentava come progetto post-bellico di una società più giusta ed equa, fu infatti utilizzato anche come strumento di propaganda di guerra.
L’obiettivo più immediato era contrastare la fama di cui godeva la Germania nazista anche fuori dai suoi confini, ossia di uno Stato che era efficiente ed efficace protettore dei propri cittadini. È per tale motivo che una sintesi ufficiale del Rapporto fu tradotta sia in tedesco sia in italiano, ed è quest’ultima versione che la Franco Angeli ha deciso molto opportunamente di ripubblicare, con l’attenta e competente cura di David Benassi e gli acuti commenti di Ugo Ascoli ed Enzo Mingione. Leggendo il documento si scoprirà come ciò che crebbe dopo nel suo nome non sempre ne rispettò l’ispirazione originaria.