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Ineguali per cultura, non per natura?

Recensione a: Giuseppe Barbini, L’origine della disuguaglianza. Le ragioni della disuguaglianza e della sua critica da Grozio a Rousseau, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2016, pp. 112, € 11.

A proposito di disuguaglianza è immancabile il riferimento al celebre discorso di Jean-Jacques Rousseau redatto nel 1754. Si dimentica spesso, però, che quel famoso testo nacque nell’ambito di un concorso indetto dall’Accademia di Digione per quell’anno sul tema “Qual è l’origine della disuguaglianza tra gli uomini e se è legittimata dalla legge naturale”.
Giuseppe Barbini ha perciò opportunamente preso in esame gli scritti di tutti i concorrenti a quel concorso. Su un totale di undici partecipanti, solo tre si dissero contrari all’idea che la disuguaglianza fosse conforme alla legge di natura. Nell’argomentazione non fu Rousseau il più dotato di concretezza politica, bensì il marchese d’Argenson, il quale riteneva che unica legittimazione per le distinzioni in società fossero il merito e i servizi effettivamente resi. Tanto trasgressivo quanto segno del clima intellettuale dell’epoca è il fatto che fosse un nobile a contestare recisamente la potenza dovuta alla nascita, giudicandola mero arbitrio, privilegio ingiustificato e socialmente nocivo.

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778)

Il dibattito sollecitato dall’Accademia di Digione non propose però tesi particolarmente innovative, recuperando invece idee e interpretazioni maturate nei secoli precedenti e sviluppatesi nel corso del Seicento. Lo conferma la prima parte dello studio di Barbini, dedicato ad un sintetico ma denso excursus del pensiero sull’origine della disuguaglianza. Vengono così passati in rassegna alcuni tra i più rilevanti esponenti del pensiero politico dei secoli XVII e XVIII. Si prendono le mosse da Ugo Grozio e, attraverso Hobbes e Pufendorf, si giunge a Locke. Se da un lato vi era il persistente modello aristotelico, dall’altro emerse, grazie a questi autori, il contrattualismo tipico di nascenti civiltà commerciali e industriali quale l’olandese e l’inglese. L’idea di diritto naturale si modificò in senso sempre più razionalistico e individualistico. Con particolare riferimento al tema della disuguaglianza, si passò ad addebitarne l’origine alla cultura, e non più alla natura. Non più necessità, ma scelta. Degli uomini.
Ancora all’inizio del XVIII secolo due erano le interpretazioni sull’origine della disuguaglianza: per gli uni scaturiva dalla necessità di istituire un ordine che garantisse dal potere del più forte e dal caos della lotta di tutti contro tutti; per gli altri era il frutto malefico di un processo di corruzione della società civile innescato dalle passioni e dalla proprietà privata.
Per un autore come Rousseau la ricchezza non è figlia della crescita, dell’intensificarsi del lavoro del maggior numero di persone, ma è l’esito di un’appropriazione degli uni a danno degli altri. Per usare le parole con cui Barbini ben riassume la questione, possiamo dire che la visione che il pensatore ginevrino aveva delle vicende umane “non è quella progressiva, alimentata dalla dinamica delle risorse, ma quella ciclica alimentata e minata nello stesso tempo dall’hybris“. Ancor più precisamente: “Le conquiste della civilizzazione non vengono viste nell’ottica del superamento di una condizione di penuria e di insicurezza, bensì come il prodotto dell’orgoglio umano, a guisa di una biblica torre di Babele che non conduce alla felicità, ma alla perdizione”.
Com’è noto, per il Ginevrino, se i mali dell’uomo civilizzato sono il frutto di un modo errato di organizzare la vita associata, scelta e instaurata nel passato, si tratterà di affidare alla politica del futuro la possibilità di rigenerare quell’uomo che, nato libero, si ritrova ovunque in catene, come si legge nel celebre incipit del Contratto sociale. Grazie al vigore della penna di Rousseau, alle sue acute argomentazioni e all’aggressività delle sue denunce, troverà nutriente alimento il mito della rivoluzione politica come traduzione mondana dell’antica promessa evangelica di perfetta uguaglianza. In altre parole, si lanciò con forza urbi et orbi il seguente monito: se vuoi la felicità non pregare, non limitarti a sperare restando in fedele attesa, ma lotta per modificare il governo di te e degli altri cambiando le istituzioni politiche e sociali.

[versione ampliata della recensione pubblicata su «L’Indice», XXXIII, n. 10, ottobre 2016, p. 47]