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Dilemmi della libertà e della responsabilità

Un confronto tra PAOLO BONETTI e DINO COFRANCESCO:

PAOLO BONETTI
Si è discusso molto in queste ultime settimane, dopi i fatti di Parigi, del necessario rapporto che deve esserci fra esercizio della libertà di espressione ed etica della responsabilità: non è lecito, si è detto da più parti, mettere a rischio la vita di molti innocenti facendo la satira dissacratrice e volgare di una religione, nel caso in questione quella islamica. Bisogna, insomma, autocensurarsi per evitare che i fanatici compiano per rivalsa le loro stragi. Detto senza tante perifrasi, bisogna rinunciare a uno dei fondamenti della nostra società liberale, quello della libera manifestazione del pensiero.
Dico subito che i sostenitori di questa tesi, anche uomini di pensiero molto autorevoli, hanno dalla loro parte ragioni che non possono e non debbono essere sottovalutate. Ma vorrei porre a tutti una domanda che rende ancora più tormentosa la scelta di un giusto comportamento: siamo proprio sicuri che i fondamentalisti si asterranno dal compiere i loro crimini, se noi rinunciamo alla nostra identità di società aperta e pluralista e ci rassegniamo a vivere sotto perpetuo ricatto? Non troveranno costoro altri pretesti per compiere le loro stragi e renderci sempre più timorosi delle conseguenze di ogni nostro pensiero liberamente manifestato? Crediamo davvero che alla nostra etica della responsabilità farà seguito la loro? O non diventeranno invece ancora più aggressivi per i nostri cedimenti? Abbiamo alle nostre spalle l’esperienza del nazismo che non fu certo fermato, nella sua marcia per la conquista dell’Europa, dalla politica di appeasement praticata per alcuni anni dalle nazioni occidentali.
Dio ci guardi da una guerra di civiltà, ma l’orgoglio della nostra non è da gettare nella spazzatura.

DINO COFRANCESCO
Beh, forse non è solo “etica della responsabilità”: è rispetto per gli altri, anche se tale rispetto non dovesse produrre alcun effetto nelle relazioni tra le diverse etnie culturali. Per tutelare il diritto della ragazza islamica a sposare l’infedele che ama, affronterei qualsiasi rappresaglia, disposto a pagare il prezzo delle piazze musulmane in tumulto e delle ambasciate date alle fiamme (è il comportamento che avrebbero dovuto assumere le potenze europee dinanzi al riarmo della Germania!) ma, sinceramente, per difendere il diritto del vignettista a pubblicare un disegno in cui il Figlio sodomizza il Padre e lo Spirito Santo sodomizza il Figlio non sarei disposto a sacrificare neppure il gatto di quartiere: La difesa dei diritti di libertà – anche quando le manifestazioni der libbero pensiero ci disgustano- è assolutamente doverosa quando è priva di conseguenze cruente ma quando comportano centinaia di morti, mi sento di dire al trasgressivo: “e datte na regolata, ah incosciente!”. Ci si mobilita con convinzione, ci si dispone a spendere tempo e denaro e, nei casi estremi, a difendere la ‘causa’ con la vita, quando dietro i diritti ci sono contenuti etici che ci stanno a cuore e… sono ampiamente condivisi dalla società in cui viviamo. Forse un po’ di Hegel non farebbe male a una società malata di nichilismo libertario.
Stando al razionalismo etico, invece, dovremmo stare sempre in guardia e difendere tutto e tutti, senza tener alcun conto delle circostanze, dei tempi e dei luoghi. Per fortuna quel razionalismo, che porta alle estreme conseguenze la fermezza nel tutelare ogni e qualsiasi ‘libertà’ (che essa ci piaccia o no), fa parte dello stile terroristico-giacobino non della ragionevolezza liberale. Quest’ultima non ignora la prudenza e il “venirsi incontro” ma non è tentata da alcuna forma di appeasement quando si tratta di questioni cruciali (c’è bisogno di ricordare le mutilazioni genetiche, la sharia che sottrae figli e mogli alla protezione delle leggi dello stato laico, il burqa integrale nei luoghi pubblici, etc.?). Altro che cedimento davanti alle pretese del totalitarismo e dell’integralismo religioso! In Italia, quanti criticarono ferocemente Roberto Calderoli per le sue magliette insolentemente antiislamiche, sono insorti con una sola voce nel rivendicare al vignettista francese il diritto cipigliosamente rifiutato al leghista lumbard: c’è una logica in tutto questo? Anche il dibattito su Charlie Hebdo dimostra che siamo un paese allo sbando…

PAOLO BONETTI
In una società liberale la libertà di espressione va difesa in ogni caso, a meno che non si tratti di incitamento a commettere qualche crimine. Spesso e volentieri questa libertà viene usata in forme moralmente riprovevoli, ma se non ci troviamo di fronte a un vero e proprio reato previsto dal codice penale, credo che non si possa e non si debba imporre da parte dello Stato alcun tipo di censura. Non si tratta, a mio parere, di nichilismo anarchico, ma della difesa della precondizione necessaria di ogni altra libertà. Resta il problema angoscioso delle possibili conseguenze dell’esercizio di questa libertà, problema che ciascuno di noi si deve porre prima di mettere in azione la lingua o la penna o il computer. Ma questo è un problema che solo la nostra personale coscienza può affrontare e risolvere, col rischio di commettere qualche tragico errore. Lo Stato si limiti a reprimere con fermezza ogni forma di violenza, anche verbale, se la parola, o nel caso in questione una deplorevole vignetta, diventa una forma di violenza. Ma quando e come lo diventa? Questo è il dilemma.

DINO COFRANCESCO
“Lo Stato si limiti a reprimere con fermezza ogni forma di violenza, anche verbale, se la parola, o nel caso in questione una deplorevole vignetta, diventa una forma di violenza. Ma quando e come lo diventa? Questo è il dilemma”. Già questo è il dilemma. Ma l’essenza della politica è nella ‘discrezionalità’ – che il razionalismo nichilistico vorrebbe cancellare – ovvero nel potere dell’autorità di stabilire, di volta in volta, quando “la parola o una deplorevole vignetta diventa una forma di violenza”. È indubbio che, in questa sua funzione, il potere può sbagliare, può vedere un pericolo laddove non c’è, può abusare delle sue facoltà per favorire gli amici e penalizzare i nemici ma, in democrazia, c’è solo un modo per garantirsi dagli errori: l’urna elettorale. Affidare tale funzione ai giudici con l’argomento che “fa leva sull’indipendenza che caratterizza il potere giudiziario in rapporto a quello legislativo”, come ha scritto il più acuto filosofo analitico del diritto che io conosca, Anna Pintore, significa menare il can per l’aia. Infatti “l’indipendenza dei giudici è indipendenza (almeno di principio e sulla carta) dagli schieramenti politici, è cioè indipendenza dai partiti, non certo indipendenza dai conflitti etico-politici sui diritti, sui quali nessuno può davvero dirsi super partes, e tutti in realtà siamo parti”. Meglio non si poteva dire.