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La droga: peste silente e servitù volontaria del nostro tempo

Un morbo si diffonde e penetra nella società italiana da decenni nel silenzio più assordante di un’opinione pubblica che non c’è, se non per quello che gli viene messo in bocca da mass media e opinionisti, giornalisti e intellettuali conformisti e compiacenti, ovvero inutili quanto dannosi. Si perdono dietro i falsi problemi e ci ingannano su quali siano in realtà le vere malattie che stanno infettando le nostre vite, forse in modo letale, soprattutto perché aggrediscono i più giovani. Ne va del nostro futuro, pertanto.

Partiamo da un po’ di dati, duri e impietosi come il cancro che sta divorando il tessuto della nostra società. Li traggo dal “Quotidiano Nazionale”, tra i pochissimi mezzi di informazione che ha colto la tragedia che è in atto e responsabilmente svolge il proprio compito di messa in guardia del cittadino che ancora pensa e ha a cuore questa sbandata società italiana. Ebbene, sono 4 milioni gli italiani che hanno utilizzato almeno una sostanza stupefacente illegale. Mezzo milione ne fa un uso frequente. L’Istat ha stimato 6,2 milioni di utilizzatori di cannabis, un milione quelli che usano cocaina, 285.000 gli eroinomani e 590.000 i drogati ‘chimici’ di ecstasy, Lsd, amfetamine. Nel 2015 erano 27.718, nel 2017 sono saliti a 38.613: un aumento del 39%. Così come è in pauroso aumento l’uso di droga fra i minori: il consumo è quadruplicato. Per gli adulti è raddoppiato (e poi ci si lamenta dei giovani!). Il primo contatto con le sostanze per un ragazzo su due è avvenuto entro i 14 anni. Dal 2016 sono aumentati i decessi correlati alla droga, soprattutto per eroina (+9,7% nel solo 2017).

La spesa per il consumo di stupefacenti in Italia ammonta a 14,4 miliardi di euro: il 40% per cocaina, il 28% per la cannabis e il 16% per l’eroina. Le attività economiche connesse al mercato delle sostanze psicoattive illegali rappresentano il 75% del business e pesano per lo 0,9% sul Pil. Solo considerando la fascia di età 15-64 anni, il 22% ha fatto uso di stupefacenti, e probabilmente continua a farlo. La cannabis rimane la sostanza psicoattiva più ricercata e consumata dai giovani (oltre un quarto degli studenti delle superiori ne ha fatto uso), ma anche dagli adulti. L’uso, lo spaccio e il traffico di cannabis sono in aumento, e aumenta contestualmente il principio attivo della sostanza. Come rileva uno studio appena pubblicato dall'”American Journal of Medicine”, il Thc, principio attivo presente nella cannabis, modifica la corteccia cerebrale e altri circuiti nel cervello in modi molto simili a quelli osservati nei soggetti affetti da schizofrenia. Ancora altri dati: i condannati in via definitiva nel 2017 per crimini droga-correlati sono maschi (94%) e italiani (56%). La classe di età più rappresentata è quella dei 25-34enni (35%), seguita dai 35-54enni (31%) e dai 18-24enni (28%). I minori rappresentano il 2% del totale: per la quasi totalità sono maschi (99%) e per il 45% sono stranieri.

L’unico tipo di dibattito che ogni tanto si ha è quello, stantio e vile, di chi propone la legalizzazione come soluzione al problema dello spaccio e dell’illegalità. Non è questo il punto. Qui si tratta di capire se riteniamo l’uso di sostanze stupefacenti un male o un bene, e non semplice questione di scelta personale, da lasciare alla libera decisione del singolo (che poi, se minore o disagiato, mai veramente libero è, ossia consapevole e responsabile). La libertà non è licenza, cioè sfogo inarrestabile di pulsioni e istinti noncuranti di chicchessia.

Dice bene Michele Brambilla, direttore del “Quotidiano Nazionale”: «il problema è – come si diceva nel Sessantotto – ‘a monte’ – cioè il problema è per prima cosa la colpevole latitanza di tutta la cultura e l’informazione sul pericolo-droga: perché si discute se legalizzarla o no ma non è quello il problema, la droga fa male anche se venduta in farmacia senza ingrassare la malavita. Si fanno campagne contro le sigarette e le merendine ma non contro la droga: mah. E poi, in definitiva, il problema è farci tutti una domanda su che cosa è la vita, e che cosa ce la può davvero rendere bella».

Vorrei sentire la voce dei tanti cosiddetti “intellettuali impegnati” su temi civili e di educazione alla cittadinanza esprimersi, senza se e senza ma, su questo tema. O meglio: vorrei che si esprimessero contro questa merda epidemica, pestilenziale ed infestante che ha nome droga. Vorrei vedere campagne su campagne, tramite social, concerti e manifestazioni pubbliche di lotta alla droga, da parte di scrittori, cantanti, attori e di tutta quella compagnia di artisti e intellettuali che invece, sovente, strizza l’occhio compiacente a quella che è una moda, alimentata in nome di falsi e ipocriti gesti di ribellione commessi col permesso del Padrone. Cosa di meglio, infatti, di una massa di giovani, e meno giovani, intontiti dalla ricerca di annullamento o eccitazione bestiale? Sempre e comunque gregge da pascolare o rinchiudere resterà questa massa di drogati. Altro che cittadinanza attiva! Semmai, clientela da stupefazione psicotropa. Consumare sostanze per consumarsi, spegnendosi a beneficio di mafiosi e potentati di varia natura, che si arricchiscono o beneficiano dell’inerzia e apatia largamente diffuse.

Vorrei vedere raccontare tramite immagini e parole la devastazione che le droghe producono nelle menti e nei corpi di chi ne fa uso, le budella che si contorcono, le bocche che si lacerano e vomitano a ripetizione, le meningi che esplodono dal dolore insostenibile provocato dai vari tipi di sostanza stupefacente. Vorrei lo raccontassero registi e scrittori, i quali, invece, si dilettano nel proporci il fascino oscuro del boss camorrista come si trattasse di un anarchico ribelle ad una qualche dittatura od oppressione statuale. Mai che ne evidenziassero la miseria umana, la schifezza immonda di cosa significhi una vita da delinquente, da assassino. No, continuiamo a baloccarci nella distinzione fra droghe leggere e pesanti, come se non sapessimo che una leggera fa presto a diventare pesante, anche perché è pensata per creare dipendenza, sennò che business è?

Perché continuiamo a ignorare che i laboratori dei narcotrafficanti sfornano ogni giorno prodotti “innovativi” ed esplosivi al pari delle mine antiuomo? Siccome c’è un ingente traffico illecito di armi non dovremmo contrastare anche quello di droghe? Quanti degli aberranti episodi di violenza consumati entro e fuori le mura domestiche, di cui è zeppa la cronaca degli ultimi anni, sono anche figlie di consumo di droghe, a cominciare dalla cocaina? Siamo culturalmente sprovvisti e abbandonati anzitutto dal mondo intellettuale, dei cosiddetti opinion makers e opinion leaders, blogger, ecc.; molti nostri concittadini sono lasciati vittime balbettanti di un mercato che viene puntualmente condannato per ciò che di bene fornisce, e la cui diffusione agevola, e non per ciò che di male produce e incentiva. Si è così tanto contro il consumismo, ma come mai non si è contro quello di sostanze stupefacenti?

Non trovo migliori parole di quelle usate sempre da Brambilla, in un altro editoriale, e che riporto solo perché possano trovare ulteriore diffusione e, spero, ascolto: «Molti anni fa il ministero stabilì un premio per i medici che convincevano i propri pazienti a smettere di fumare. Ricordo che durante la riunione di redazione un collega noto per incenerire un paio di pacchetti di Marlboro al giorno protestò: “Ma perché premiare chi fa smettere di fumare e non chi fa smettere di drogarsi?”. “Ma è semplice”, risposero tutti: “Perché tu, fumando, avveleni anche chi non fuma. Chi si droga, invece, fa male solo a stesso”. Sembra una barzelletta ma questa è invece la mentalità dominante, e da un pezzo, sul tema. E cioè: il fumo passivo lo respira anche chi non si è mai acceso una sigaretta, mentre chi si buca, o sniffa, o ingurgita pillole diaboliche, non intossica altri che non se stesso. E siccome ciascuno è libero di fare ciò che vuole a patto di non danneggiare il prossimo, ecco perché è giusto punire o almeno scoraggiare chi fuma le sigarette e lasciare invece libero chi vuol far di sé ciò che gli pare. Questo è purtroppo il ragionamento che ci ha portati a una campagna martellante contro sigarette, sigari e pipe e al contemporaneo silenzio sui pericoli di tutte le droghe. Ma è un ‘ragionamento’? In realtà, di ragione ce n’è poca. E lo spiegò bene, in quella riunione di redazione, il collega fumatore di cui vi parlavo. Lo spiegò dicendo così: “Ma siete sicuri che chi si droga non danneggi anche gli altri? Pensate intanto alla sofferenza dei familiari; poi, al costo sociale – che è a carico della collettività – per le cure sanitarie che inevitabilmente prima o poi si impongono; poi pensate a quanti furti, scippi e rapine si fanno per procurarsi il denaro per comprare la droga; e poi ancora ai pericoli provocati da chi, ad esempio, guida dopo essersi ‘fatto’. Ecco perché chi si droga avvelena anche te”. E quindi digli di smettere, come si concludeva lo slogan inventato per i fumatori di sigarette». Conclude Brambilla con la seguente, giustissima, postilla: «Credo che non ci sia nulla da aggiungere al ragionamento (questo sì, ragionamento) di quel mio vecchio ex collega. Se non una precisazione: chi si droga avvelena anche noi, ma non va considerato come un nemico da punire, bensì come una persona da aiutare» (si legga un drammatico reportage realizzato da “L’Espresso”: clicca qui). Tra queste persone, in aumento è il numero di giovanissimi.

L’Italia è il terzo Paese in Europa dove si consuma più cannabis: il 33,1% l’ha usata ameno una volta nella vita, una percentuale inferiore solo a Francia (41,4%) e Danimarca (38,4%). Nel 2017 il 34,2% degli studenti ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nella vita, mentre il 26% nell’ultimo anno (670.000 ragazzi). Il 33,6% degli studenti (870.000) ha utilizzato cannabis almeno una volta nella vita. Sono 360.000 (13,9%) gli studenti che hanno utilizzato almeno una volta nella vita una o più delle nuove sostanze psicoattive (cannabinoidi sintetici, oppiodi sintetici). Gli studenti che hanno sperimentato la cocaina almeno una volta sono 88.000 (3,4%). Per un ragazzo che comincia a fumare cannabis dai 13 ai 15 anni, il rischio di sviluppare una tossicodipendenza entro i 28 anni è del 68% (del 44% per i giovani che iniziano dai 15 ai 17 anni). Un ultimo dato, regionale: nel Lazio gli under 18 in cura per tossicodipendenza sono schizzati a quasi 300 nell’ultimo anno. Cinque anni prima erano 78. Se non è allarme sociale questo, non so più cosa possa esserlo. Non è l’ora di insorgere e lanciare una vera, autentica Resistenza – parola sovente usata a sproposito – a questa peste del nostro secolo?