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Slave to Love 9½ Weeks Long

Léon Riesener, La baccante Erigone gioca con la pantera (1855)

Nel 1986 usciva nelle sale Nove settimane e mezzo, un classico esempio di quei film snobbati dalla critica e acclamati dal pubblico. Frutto di un’operazione furba del marketing? Può anche darsi, ma se non hai in mano niente, anche la migliore promozione pubblicitaria arranca. E qui di ingredienti ce n’erano. Due belli e dannati, a dire il vero lei, dannata, per poco tempo, appunto 9 settimane e mezzo, poco più poco meno, mentre lui era solo all’inizio di una perdizione che sarebbe proseguita ben oltre il set di quel film. Uno che all’apice del successo ma anche della devastazione interiore, nel 1991, ebbe a dire: “Devo tornare a boxare perché mi sento sulla via dell’autodistruzione e non sento rispetto di me stesso come attore…”. E lo fece davvero, abbandonando temporaneamente il cinema e combattendo numerosi incontri. Subì poi diversi infortuni, come il naso rotto, denti spezzati, costole incrinate, lingua tagliata, e la compressione dello zigomo. Successivi interventi di chirurgia plastica, ben poco estetica, hanno aggravato e reso quasi mostruosi lineamenti prima quasi perfetti. Ma la sua bravura, la sua intensità di attore, se ne sono giovati. Scomparsa la bellezza, tramutatosi il volto in una maschera grottesca, restava tutto il resto. Un’anima fragile e dannata.
Chi voglia constatarlo coi propri occhi si goda The Wrestler (2008) e ammiri un attore che non ha quasi più espressione facciale e recita quasi esclusivamente con gli occhi e con il corpo. Questo è talento, questa è bravura attoriale allo stato puro: Mickey Rourke.
Torniamo a quelle nove settimane e mezzo. Lei gallerista d’arte a Soho, divorziata, biondissima, una valchiria scesa dal Valhalla tra i fumi e i grattacieli di New York; lui broker di Wall Street, gocciolante fascino animato da un sorriso enigmatico e perverso. Ebbene, avere Kim Basinger e Mickey Rourke all’apice della loro bellezza e carica erotica vi pare poco? Una trama resa ancora più torbida e morbosa da una fotografia che sperimentava in pieno la recente novità del videoclip musicale, che anche in Europa stava dilagando in quegli anni, decretando la fortuna della musica post-punk e new wave. Non avremmo avuto i fenomeni di Michael Jackson e Madonna, solo per fare due esempi clamorosi, senza la novità del videoclip. E poi… che colonna sonora! Ancora in molti, pensando ad uno spogliarello che sia davvero conturbante con tanto di “ballo da strappamutande“, come avrebbe di lì a pochi anni di distanza cantato Zucchero Sugar Fornaciari in quello che resta forse il suo migliore album (Oro, incenso & birra), in molti ancora, dicevo, associano a questa fantasia erotica You Can Leave Your Hat On , brano del 1972 scritto da Randy Newman e ripreso e cantato magistralmente da Joe Cocker appositamente per il film (auguri a Joe per i 70 anni compiuti lo scorso 20 maggio!). E poi la più struggente, malinconica tra le canzoni d’amore degli ultimi trent’anni, Slave to Love, di Bryan Ferry. Sofisticatissimo lui, raffinatissima la canzone, eleganti sia testo che musica. Omaggio dunque a Kim Basinger, a Mickey Rourke, al regista Adrian Lyne (lo stesso di Flashdance) e all’erotismo patinato consumato selvaggiamente nella New York luccicante e cupa degli anni Ottanta. Ma anche una sensualità dolce e struggente e calda e rovente come quella che promana dalle parole e dalla musica di questa splendida canzone di Bryan Ferry. Nella consapevolezza che, come cantava Joe Cocker con la sua inconfondibile voce roca, “you give me a reason to live“. Nella speranza che, in effetti, sia così.

Tell her I’ll be waiting
In the usual place
With the tired and weary
There’s no escape
To need a woman
You’ve got to know
How the strong get weak
And the rich get poor

Slave to love

You’re running with me
Don’t touch the ground
We’re the restless hearted
Not the chained and bound
The sky is burning
A sea of flame
Though your world is changing
I will be the same

Slave to love
And I can’t escape
I’m a slave to love

Can you help me?

The storm is breaking
Or so it seems
We’re too young to reason
Too grown up to dream
And the spring is turning
Your face to mine
I can hear your laughter
I can see your smile

Slave to love
And I can’t escape
I’m a slave to love

written and sung by Bryan Ferry, album “Boys and Girls” (1985)

[art. già pubblicato su Oubliettemagazine.com, 23 luglio 2014]