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Identità europea vo’ cercando… tra Socrate e Cristo

L’Europa, cos’è? Domanda quanto mai attuale. Dario Antiseri ci suggerisce di seguire le tracce del suo amato Karl Raimund Popper, il grande filosofo della scienza e della politica che egli ha contribuito in modo determinante a far conoscere in Italia in tempi in cui la cultura liberale era a dir poco negletta, se non considerata oramai superata, definitivamente rottamata. E così in un agile libretto, uscito pochi mesi fa (L’anima greca e cristiana dell’Europa, La Scuola, Brescia 2018), egli consente al lettore di oggi di mettere assieme una serie di elementi che rendono un po’ meno vaga quell’identità europea che è forse una chimera, ma può aiutare a scoprire affinità e punti di convergenza, frenare le pressanti e inevitabili divaricazioni nazionalistiche e alimentare una filosofia europea. Sarà mai possibile? Nutro forti dubbi, visti i tempi e le condotte di molte nazioni europee, e penso solo a cosa ha fatto la Germania con la Grecia tre anni fa (con tutti i limiti e le responsabilità della classe politica greca degli ultimi decenni). Non solo e non tanto nella sostanza, quanto nei modi, tali da convincere molti abitanti dei vari Stati europei che l’Ue non è una casa comune, ma una specie di casa di correzione per nazioni un po’ troppo spendaccione e poco allineate sulle convenienze economico-produttive domestiche germaniche. Ma Antiseri ci aiuta a capire come sulla differenza dei punti di partenza, assolutamente da preservare, possa comunque poggiare un’unione di intenti.

L’Europa è la sua storia e la storia europea narra di una tradizione plurale, “che permette le idee più diverse e azzardate”. Popper sosteneva che la civiltà europea fosse la migliore per la propria capacità di autocorreggersi, anche dai più macroscopici e tragici errori e orrori commessi nel corso dei secoli. Ciò grazie al valore assegnato alla ragione critica. Salvador De Madariaga nel 1952 aggiungeva che due sono le facoltà distintive in cui si incarna lo spirito europeo: la volontà e la mente. “Cristiana nella sua volontà, l’Europa è socratica nella sua mente”. Da un lato, tutti gli esseri umani sono dichiarati sacri, a immagine e somiglianza di Dio, dall’altro lato, la vita è degna di essere vissuta se pensata e praticata come ricerca incessante, libertà d’indagine, oltre le colonne d’Ercole della consuetudine e del già detto. E prima di Socrate i greci hanno insegnato a chi ha voluto e saputo farsene erede, cosa che periodicamente è accaduta nei periodi di rinascenza della storia europea, quanto sia bello e fecondo stabilire che gli allievi imparino a criticare i loro maestri, una generazione dopo l’altra. Una critica che sappia apportare miglioramenti a quanto il maestro ha lasciato in eredità, consapevoli che la vita, ogni vita, è una ricerca senza fine, e che ciò è cosa buona e giusta.

Con Talete e Anassimandro nacque la tradizione della discussione critica, locuzione che vuol dire “filosofia”. Fu merito di uomini, certo, ma anche della condizione sociale ed economica delle città nelle quali vissero e pensarono. Città che furono le prime società davvero aperte in virtù dello sviluppo delle comunicazioni marittime e del commercio. Scriveva Popper nel 1945, nella sua opera più celebre: “l’iniziativa commerciale risulta essere una delle poche forme in cui può affermarsi l’iniziativa e l’indipendenza individuale, anche in una società nella quale ancora prevale il tribalismo”.

Il commercio mette in contatto con l’altro e così il mercato, scrive Antiseri, “è incontro di merci e scontro di dèi: quale degli dèi è il vero Dio? ovvero non c’è nessun Dio? Questa è la tua immagine del mondo; ma io ne ho un’altra: quale delle due è vera? O sono tutte e due false? Noi seppelliamo i cadaveri, voi li bruciate, loro se li mangiano; chi è nel giusto?”. Ed è qui che nasce la ragione, filosoficamente intesa, ossia esercizio critico, autoriflessivo, del pensiero umano. Lo ha spiegato benissimo Ortega y Gasset: la ragione “nasce quando l’uomo si vede obbligato a scegliere, a suo rischio e pericolo, fra molteplici possibilità di modi di pensare, di fare, di essere in modo da farne suo uno sul quale orientare momentaneamente o definitivamente la vita”. E così impariamo che la filosofia conobbe i suoi inizi come avventura coloniale, e grazie al commercio e allo scambio le città si aprirono e partorirono merci raffinate, opere d’arte e filosofi.

Antiseri è poi da sempre convinto che senza il messaggio cristiano la laicità non si sarebbe aggiunta come attributo dello spirito europeo e tratto costitutivo delle società che sono andate a prevalere nel Vecchio Continente. Due gli argomenti che adduce. Anzitutto, il cristianesimo trasmette l’idea che “il potere politico non è padrone della coscienza degli individui, ma che è la coscienza di ogni uomo e di ogni donna a giudicare il potere politico. Per il cristiano solo Dio è il Signore, l’Assoluto”. Ne consegue che il potere politico è desacralizzato, e, aggiungo io, ogni tentazione teocratica che poté sorgere in seno al cristianesimo fattosi istituzione temporale non trovò mai terreno fertile per attecchire. La lotta per le investiture e la rinascita della forma-città dopo l’anno Mille sancirono una fase cruciale, dopo la quale non fu praticabile con facilità la fusione del potere politico con quello religioso. Le guerre civili di religione successive allo scisma luterano ne dettero conferma, sia pur sanguinosa e dilaniante. Ne consegue, secondo argomento antiseriano, che il messaggio cristiano “libera l’uomo dall’idolatria; il cristiano non può attribuire assolutezza e perfezione a nessuna cosa umana”. Da qui una tendenza antiassolutistica che si sarebbe intrecciata in futuro con il costituzionalismo moderno, dando poi vita a quella corrente del cattolicesimo liberale tanto cara ad Antiseri e sicuramente determinante nell’avvio del processo di integrazione europea all’indomani della seconda guerra mondiale.

Come la mettiamo con la scienza e la sua forza dissolvente di tradizioni e certezze? Non possiamo negare che sia parte dello spirito europeo. Come si concilia con l’afflato religioso che corroborerebbe l’identità europea? Ragione contro fede? Seguendo la lezione di Max Scheler, Antiseri ritiene che un mondo disincantato dalla scienza non sia la negazione della fede, bensì la sua purificazione. Muore la superstizione, l’idolatria appunto, non la fede nell’immortalità dell’anima e nel mistero della vita, il cui principio primo, originario, ci resta ignoto e caro al contempo. La secolarizzazione è, insomma, un esito del monoteismo ebraico-cristiano. I valori della scienza e quelli della fede sono incommensurabili e quindi compatibili, in quanto rispondono a domande differenti. Galileo lo chiarirebbe bene quando ci dice che la scienza spiega come va il cielo, mentre la fede come si vada in cielo. Niente conflittuale aut-aut, ma un conciliante et-et.

In ultima analisi, Antiseri trova l’identità europea nel connubio tra Socrate e Cristo, fra i due depositi di teorie e pratiche vissute di cui le due figure sono simbolo. Non so se con esse si esaurisca, o anche solo si contempli, una possibile declinazione politica di tale identità, ma credo si riassuma buona parte della suo aspetto culturale. Socratiche e cristiane sarebbero le linee guida entro cui condurre una politica che però, per esser tale, non potrà non fare i conti con il principio di realtà e il governo dei rapporti di forza che nella interazione umana costantemente si creano. Mitigarli e guidarli in nome del senso della misura e dell’equilibrio sarebbe il tratto distintivo di una politica europea?

[originariamente apparso in “IdP – Istituto di Politica“, 18/06/2018]

Gustave Moreau, Giove ed Europa (1868)
Gustave Moreau, Giove ed Europa (1868)